Gaika Mitich e Boiko Dvachich presentano…
Presentazione del libro "Vir'ë mio! Cronache delle guerre informatiche invisibili da Syktyvkar a Singapore" — quel raro caso in cui il "romanzo professionale" non suona come una formalità da comunicato stampa, ma come un invito in una professione viva.
Il libro, pubblicato da Eksmo e creato da esperti di Kaspersky Lab sotto gli pseudonimi Gaika Mitich e Boiko Dvachich (dietro a loro stanno Aleksandr Gostev e lo scrittore Aleksej Andreev), raccoglie con cura due decenni di memoria del settore: dai floppy disk e dai primi virus fino agli odierni attacchi-as-a-service e all'intelligenza artificiale, che non è più solo uno strumento ma una nuova superficie di vulnerabilità.
La trama parte da dove per molti di noi è iniziata l'IT — da una passione che all'improvviso diventa professione. Il protagonista, Sasha di Syktyvkar, colleziona virus, si trasferisce a Mosca e approda all'analisi dei virus. Attraverso la sua crescita è tracciata l'evoluzione di un'intera industria: come la cultura hobbistica dell'alba del Runet abbia cristallizzato pratiche, standard e, cosa importante, l'etica delle indagini. Il libro si basa su episodi reali, ma racconta il complesso con un linguaggio semplice, senza tecnosnobismi né fronzoli da branding. Gli autori hanno deliberatamente eliminato loghi evidenti — affinché l'attenzione sia sulle persone, sulle decisioni e sulle conseguenze, non sulle insegne.
Sul palco, insieme alla critica letteraria Natal'ja Lomykina, si sono discusse tre stratificazioni — passato, presente e futuro della cybersecurity. Nel passato — l'epoca della quasi totale anonimato in rete, quando i nick erano più importanti dei titoli e la reputazione di un ricercatore si costruiva non con regalie ma con l'analisi dei casi e la capacità di vedere la logica dell'attaccante. Questo codice culturale, come ha osservato Aleksandr Gostev, ha aiutato il team di ricerca interno a crescere fino a diventare un brand globale autonomo: quel caso in cui "un reparto interno all'azienda" diventa un segno qualitativo per tutta l'industria. Nel libro questa traiettoria si legge senza dichiarazioni esplicite — attraverso dettagli quotidiani, forensi notturne, le prime grandi epidemie e indagini in cui alla tecnica si accompagna sempre l'intuizione umana.
Il presente è la maturazione della professione. Oggi non basta l'analisi del codice: sul tavolo si mettono linguistica, culturalità, il contesto regionale e la storia dei gruppi. L'attribuzione è diventata una disciplina "a grandangolo", e il libro mostra con onestà perché un dettaglio nel modo di parlare a volte pesa più di una firma in un campione. Qui si parla anche di come si costruisce il contrasto che l'utente comune non vede: dalla precisa retroingegneria e dall'intercettazione delle TTP fino al lavoro sulle vulnerabilità che migrano tra piattaforme e settori: dalle banche allo spazio. In questo senso "Vir'ë mio" non è una raccolta di "racconti dell'orrore", ma il ritratto di un mestiere con le sue regole, la routine, la dinamica di squadra e l'umorismo caratteristico, senza il quale in questo campo non si sopravvive a lungo.
Il futuro, alla presentazione, è stato descritto senza allarmismi ma neanche con occhiali rosa. L'intelligenza artificiale ha aggiunto velocità e scala sia ai difensori sia agli attaccanti, e quindi sono richiesti gli "specialisti sintetici" — quelli che saldano tecnica, linguaggio, analisi e narrazione in un quadro coerente dell'attacco. I trucchi linguistici contro i grandi modelli di linguaggio non sono più una curiosità da laboratorio, ma una nuova linea di frontiera della ricerca. Gli autori hanno accennato anche alla multiformità del progetto: dopo il romanzo potrebbero seguire fumetti — per offrire alla professione più "ingressi" rivolti a nuovi lettori e futuri analisti.
Un piacere a parte aggiunge l'identità visiva. La copertina è opera dello Studio di Artemij Lebedev: dall'oscurità emerge la "ë" minuscola nascosta nella maiuscola — una simpatica metafora di due mondi, quello visibile e quello ombra. Di quello stesso "iceberg sommerso" dove vivono le minacce e chi le fronteggia. Il libro è rivolto non solo ai professionisti: esempi tratti dalla cultura di massa, un ritmo costante e la cura per il lettore senza preparazione specialistica rendono il testo accessibile. Ma gli esperti troveranno "easter egg": casi riconoscibili, voci caratteristiche dei personaggi che si collegano facilmente a figure reali dell'industria.
La serata è stata ricca di citazioni. Eugene Kaspersky ha sottolineato che storie sugli hacker escono ogni anno, mentre si scrive molto meno su chi difende; qui la professione è svelata "da tutti i lati, inclusi i dettagli meno noti", con la giusta dose di ironia e nostalgia. Sul piano editoriale emerge una conclusione sobria: il romanzo professionale esiste quando dietro c'è esperienza reale e un pubblico, non un costrutto fatto di stereotipi. A giudicare dalla reazione della sala e dal dialogo vivo, per "Vir'ë mio" questo requisito è soddisfatto.
Per riassumere, la presentazione ha fissato un pensiero importante per la sicurezza informatica: le posizioni globali dei team di ricerca russi non riguardano solo la tecnologia, ma anche una cultura cresciuta dalla libertà iniziale di internet, dove si valorizzavano curiosità, tenacia e la capacità di portare un'analisi sino in fondo. Oggi, quando gli attaccanti fanno leva su IA, automazione e tattiche ibride, è richiesto un sintesi di conoscenze. E il libro, pur nella sua natura narrativa, funzionerà come un morbido "onboarding" in questa realtà: spiegherà perché talvolta un analista somiglia a un filologo e a uno storico, e perché il lavoro di squadra è come un'orchestra ben accordata, dove ciascuno ha il proprio strumento e il proprio tempo.
Per la comunità IT, "Vir'ë mio" è allo stesso tempo un dono e un invito al dialogo. A chi è nella professione ricorda perché amiamo questo lavoro: per le indagini intellettuali, il brivido e quel senso di "puzzle completato". A chi si avvicina, mostra la strada senza romanticizzare il caos: con la luce della lampada da tavolo, le notti insonni e quei momenti in cui la "ë" minuscola all'improvviso si manifesta dall'oscurità — e diventa maiuscola.
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