Riprendersi lo stack: la scommessa dell'Europa per la sovranità digitale

Riprendersi lo stack: la scommessa dell'Europa per la sovranità digitale

      L'intreccio tra tecnologia e politica è diventato impossibile da ignorare — soprattutto negli Stati Uniti, dove i confini tra la Silicon Valley e Washington si stanno rapidamente dissolvendo.

      All'inaugurazione del presidente Trump, i CEO di Amazon, Meta e Alphabet hanno preso posti di rilievo — addirittura prima dei candidati al gabinetto — un segnale inequivocabile di quanto i giganti tecnologici statunitensi siano ormai intrecciati con le agende di politica nazionale. Pochi giorni prima, il presidente uscente Biden aveva messo in guardia contro la nascita di un crescente “complesso industriale tecnologico”.

      Non si tratta solo di simbolismo. Riflette un cambiamento più ampio: le aziende tecnologiche statunitensi si stanno allineando a una strategia industriale interna che considera il cloud, l’intelligenza artificiale e l’infrastruttura digitale come strumenti di potere geopolitico. Per l’Europa, le implicazioni diventano via via più difficili da ignorare.

      Il ministro francese per l’IA e il digitale ha da allora avvertito della presenza di “predatori” digitali che minano l’autonomia europea. In Germania, le agenzie governative hanno iniziato a eliminare Microsoft Teams a favore di strumenti di collaborazione nazionali. E in Danimarca è in corso una migrazione su vasta scala verso sistemi Linux open source.

      Non si tratta di incidenti isolati. Segnalano le fasi iniziali di un movimento per la sovranità digitale — guidato tanto dal pragmatismo quanto dalla politica. Per l’Europa, riconquistare il controllo sull’infrastruttura digitale non è più un’idea di nicchia. È un imperativo strategico.

      Una dipendenza critica

      La dipendenza dell’Europa dagli hyperscaler stranieri è profonda e di lunga data. La maggior parte dei servizi governativi, dei sistemi sanitari e delle infrastrutture del settore privato funzionano su piattaforme controllate da Microsoft, Amazon Web Services (AWS) e Google. Questa dipendenza è diventata così radicata che è a lungo passata inosservata — fino ad ora.

      Basti pensare al CLOUD Act degli Stati Uniti, che concede alle autorità americane il diritto di accedere ai dati memorizzati su server di proprietà statunitense, anche se tali dati risiedono in Europa. Per i cittadini e le imprese dell’UE, ciò crea una contraddizione fondamentale: i loro dati sono contemporaneamente soggetti a leggi locali sulla privacy come il GDPR e a leggi straniere sulla sorveglianza sulle quali non possono influire.

      Il lock-in dei fornitori aggrava il problema. Molte organizzazioni si trovano legate a ecosistemi proprietari con scarsa portabilità, incapaci di spostare o replicare i carichi di lavoro tra fornitori senza costi o rischi significativi. Peggio ancora, decisioni operative, come cambi di prodotto, prezzi o pratiche di gestione dei dati, vengono sempre più prese senza il contributo europeo.

      L’infrastruttura cloud è diventata infrastruttura critica. La domanda non è più se importi chi la controlla, ma cosa accade quando quei controlli si trovano a migliaia di chilometri di distanza, in giurisdizioni diverse con interessi differenti.

      Il risveglio tecnologico dell’Europa

      I governi europei stanno cominciando ad agire. La Francia ha avviato investimenti considerevoli in iniziative cloud domestiche, supportando fornitori come OVHcloud e investendo in piattaforme sovrane con certificazione SecNumCloud. La Germania, nel frattempo, ha preso provvedimenti per ridurre la dipendenza da fornitori non europei nelle agenzie federali. Nel caso della Danimarca, il passaggio a Linux non riguarda solo il risparmio sui costi. Riguarda il controllo, la trasparenza e la sicurezza — non sorprende, considerando “l’interesse” di Trump per la Groenlandia.

      Queste mosse non sono reattive né simboliche. Fanno parte di un cambiamento più vasto verso l’autodeterminazione digitale — che riconosce la sovranità come fondamento della resilienza. Per troppo tempo il futuro digitale dell’Europa è stato esternalizzato. Ora cresce la consapevolezza che la vera indipendenza richiede il controllo dell’intero stack — dall’infrastruttura e l’identità ai dati e alla logica delle applicazioni.

      Resilienza anziché nazionalismo

      Questo movimento non è espressione di sentimento antiamericano. Né è un argomento a favore del protezionismo economico. La sovranità digitale europea non è un rifiuto della collaborazione globale — è una ricalibrazione del rischio.

      Governi e imprese stanno prendendo coscienza del fatto che la resilienza non può essere raggiunta attraverso una dipendenza eccessiva da un ristretto insieme di fornitori. Quando l’infrastruttura è dominata da una manciata di fornitori stranieri, il sistema diventa fragile, non robusto.

      L’Europa dovrebbe muoversi verso un approccio più solido definito da:

      - hosting locale con chiaro controllo giurisdizionale;

      - standard aperti che prevengano il lock-in dei fornitori;

      - piattaforme open source che offrano trasparenza e adattabilità;

      - ecosistemi di fornitori diversificati che incoraggino innovazione e flessibilità.

      Per la gestione delle identità e degli accessi in particolare, protocolli aperti come OAuth e OpenID Connect consentono l’orchestrazione multi-cloud. Ciò significa che se un’organizzazione deve cambiare fornitore o ospitare in una nuova regione, il suo livello di identità può rimanere coerente e sicuro — una capacità cruciale in un’epoca di turbolenze geopolitiche e di crescenti minacce informatiche.

      Una via pragmatica verso la sovranità digitale

      Il percorso verso la sovranità digitale non richiede una rivoluzione. Ma richiede concentrazione e coerenza.

      Un approccio pratico inizia con una verifica delle dipendenze digitali esistenti — non solo a livello infrastrutturale, ma su tutto lo stack digitale. Da lì, le organizzazioni dovrebbero individuare dove resilienza e portabilità sono più deboli e dove sono più esposte a decisioni esterne al di fuori del loro controllo.

      Questa valutazione dovrebbe informare una strategia di diversificazione graduale. Ciò può significare spostare progressivamente i carichi di lavoro verso cloud sovrani, adottare alternative open source al software proprietario o disaccoppiare componenti chiave — come l’autenticazione o la gestione delle API — dagli ecosistemi a fornitore unico.

      I governi hanno un ruolo da svolgere, non solo nella politica e negli appalti, ma investendo nelle competenze e negli ecosistemi di innovazione locali. La sovranità non è un elemento da spuntare in una lista — è una capacità che richiede supporto continuo per essere costruita e mantenuta.

      Scegliere il futuro

      In un mondo in cui i sistemi digitali sostengono ogni aspetto della vita, dall’istruzione e la sanità alla finanza e alla difesa nazionale, il controllo dell’infrastruttura non è più una questione tecnica. È una questione di indipendenza strategica.

      L’Europa ha una scelta da fare. Continuare a fare affidamento su piattaforme straniere per le sue funzioni digitali più sensibili, oppure investire in un futuro che possa davvero possedere.

      La sovranità non riguarda l’isolamento. Riguarda la capacità d’azione — il potere di plasmare un futuro digitale che rifletta i valori, le leggi e gli interessi a lungo termine dell’Europa.

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